lunedì 16 dicembre 2013

I pensieri di Ezechiele

"Ma che cazzo, arriva il Natale e che toccava il regalo lo sapevo ma cazzo i parenti no, i parenti no!!!
Io questa qui la volevo solo scopare, poi mi sono affezionato a quel modo tutto suo di fare pompini e guarda qua stasera che cazzo mi tocca..." Ezechiele è sempre stato franco quando racconta i suoi scazzi con la Silvia. Una sorella che per lui è quasi un fratello, le vuole bene quasi quanto al cane, e le confida tutti i suoi pensieri. La Silvietta lo ascolta, lo manda affanculo e va dalla madre a far presente che loro sono stati stronzi a chiamare un figlio Ezechiele ma quello c'ha messo del suo per diventare la merda d'uomo che è.
Poi va beh, quando già ti chiami Ezechiele e di soprannome t'affibbiano Zecca...Poi uno dice che quello bestemmia un po' troppo, e va beh...
Lo Zecca gira la chiave della Ypsilon della madre e già sente tirare quel doppio Winsor fatto male, le prime 3 madonne sono già partite. C'ha pensato da una settimana a come vestirsi, lui mette i dischi nei locali, gira in canotta e anfibi anche a febbraio e la nuova ragazza non solo l'ha invitato a cena coi parenti ma s'è pure raccomandata di fare una bella impressione. "Mi raccomando, la mia è una famiglia tradizionale", "Tradizionalmente...Porcoddio" chiosò Ezechiele nell'occasione. Scartato un vecchio paio di scarpe di Prada, scartate le Hogan, ha tirato fuori le scarpe di un matrimonio che sa una sega lui quale fosse, boh, tanto ai matrimoni non ha mai battuto chiodo, sicchè erano soldi buttati. S'è messo pure un paio di pantaloni normali, si gratta da quando se l'è messi. Alla fine ha scelto un maglione con lo scollo a V del padre, una cravatta che deve aver inculato a qualche amico in occasione del matrimonio di prima e una camicia che beh, cazzo almeno delle camicie ne ha cinque, ha potuto scegliere. I colori ricordano quelli di un negozio di pappagalli dopo che ci s'è infilato dentro un camion, boh, forse la gente normale si veste così.
Mentre cerca di sbrinare il vetro coinvolgendo tutti i santi del calendario nell'operazione, gli viene un flash: "Ma se questa mi dice di fare bella figura, che cazzo gli avrà detto di me?". Lo Zecca è sempre stato uno sveglio, lo reggerà il gioco.
Arriva a casa di lei con quei 10 minuti di ritardo che lo fanno sentire puntuale, già un esercito di curiosi s'affaccia alle finestre, scende di macchina e vede un fuggi fuggi generale dietro le tende.
Lei esce dalla porta per andargli incontro sul vialetto e lo Zecca si commuove: si commuove per se stesso. Gli si para davanti la versione "devo essere sfigata per forza" di quella fica devastante che ha conosciuto in discoteca, scarpa bassa terribile, calze verde scuro con la gonna di non sa cosa, poco sopra il ginocchio, in tinta e un cazzo di cardigan rosso con la camicetta bianca. No va beh, ma sul serio? Ma manco nelle commedie americane. Si sente un figo della madonna (e di quale madonna si preoccupa di ripeterselo spesso) nel suo ensamble da pappagallo frullato. Entra in casa e sono tutti lì, un esercito, "Fa una sega a questi qui Gli Uccelli di Hitchcock", anziani, bambini, una signora gentile solo a vederla, con un sorriso di una dolcezza disarmante. Piacere di qui e di là, i bimbi costretti a dire il nome, Ezechiele quasi si commuove a vedere quel bambino che è stato distolto dal tirare i capelli alla sorellina, attività alla quale si stava dedicando con la massima dedizione: ma perché devono rompere i maroni anche ai bambini?
Se la cava con pochi convenevoli e via, a cena, su quella tavola ci sono più posate che nello studio di un dentista, non ci sono le posate nello studio del dentista, ma se lo riempi di posate, sai quante ce ne entra? Ezechiele si ferma a metà di un ragionamento stupido che chissà dove lo avrebbe portato, ma con ogni probabilità a sperare di essere a pigliarlo nel culo piuttosto che a quel pranzo. Ci saranno almeno cinque portate, "Ma sta gente lo sa che in questo periodo si mangia tutti come maiali?".
"Oh ecco qui i crostini della Michelaaaa"
"Evvivaaaa" Esclama il pubblico
"Ah oltre ai pompini sa fare i crostini. E' da sposare" Pensa lui.
"Cazzo sono buoni sul serio, non come quei troiai stoppacciosi che fa quella stordita della mi' zia. Non ce la chiamo più Pompinara se cucina così"
Con un atto di non richiesta umiltà Michela si rivela "Beh, via io li ho solo preparati, l'impasto è della nonnina Adele"
"Pompinara. Anzi Pompinara Rubacrostini"
"E insomma dicci un po' di te Ezechiele, dove lavori? Ci ha detto la Michi che ti sei laureato in Bocconi e ora lavori in una grande azienda di musica..."
"Bocconi ci metto spesso la tu figliola e faccio il dj nei locali, e mi pagano se mi va bene, spesso sperano di cavarsela passandomi una pista e facendomi infilare nel letto un paio di cubiste" Ezechiele è abbastanza lucido da pensarlo e stare zitto ma non riesce a nascondere quel classico movimento delle sopracciglia che testimonia di essere caduto dal pero, ma da un pero di venti piani! "Ma sta rincoglionita che cazzo gli ha inventato, ma poi in Bocconi, in Bocconi de che, alla Bocconi, perchè tutto quello che riguarda Milano deve essere pronunciato a stracazzo?" Michele trae un sorso incomprensibilmente lungo d'acqua cercando di convincersi che sia grappa e che quel sorso lo possa mandare in coma etilico, nel frattempo ha bisogno di una via d'uscita senza sbilanciarsi.
"I tortelliniiiii"
"Evvivaaaa"
"Ma sta masnada di disadattati fa sul serio la ola ogni volta che arriva una portata nuova? Meno male che ho preso tempo". Lo Zecca si gira a squadrare la Pompinara che con uno sguardo gli fa capire di tenere il colpo.
"Eh sì, la musica mi ha sempre appassionato, fin da bambino" Ezechiele spera di spostarla sulla musica, tutta gente di mezza età che cercherà di dire che i Beatles fanno della gran musica, che i giovani d'oggi non capiscono una mazza. Ezechiele ha scritto qualche articolo sui Daft Punk, sti qui manco sapranno cosa siano, e sentendo Punk magari si faranno il segno della croce sotto quel tristissimo crocifisso sopra l'architrave della porta"
C'ha preso. Parte il padre con "...ai miei tempi" ed Ezechiele riesce a trattenere le risate solo a stento quando lui gli propone "Dopo ti posso far sentire qualcosa con la chitarra". "Ma che cazzo, io cambio spacciatore, dammi il numero del tuo"
I bambini ce li siamo persi, casino, urla, strilli, quel cacacazzi di figliolo della cugina della Michela sta già chiedendo dei regali, le posate davanti al suo posto sono le mezze nel brodo suo, le mezze in quello della mamma e le mezze in terra. Ezechiele si rallegra a vedere che tutti prestano attenzioni a Jimmy Cacacazzi distogliendo le attenzioni da lui e si sente quasi cristiano a pregare Dio perchè la cena si velocizzi, ci mette dentro un po' tutte le specie animali, ma sostanzialmente è un'invocazione anche la sua. Per oggi le preghiere si convince di averle dette e si sente un po' più puro.
"I ravioli fatti in casaaaaa"
"Evvivaaaa"
"Alla prossima cosa che portano urlo evviva anche io eh, sta cosa fa troppo delirio collettivo, manco sotto LSD si vedono 'ste cose"
In quella che è la tradizionale atmosfera calda, casalinga, accogliente, fracassona del Natale italiano Ezechiele ci s'è trovato un ruolo. C'è il padre che cerca di intrattenere tutti, due o tre mariti della generazione successiva che parlano di calcio, un anziano che si lamenta con la moglie del fatto che questa stia viziando i nipotini casinisti e che invece ai suoi tempi gli avrebbero dato l'olio di ricino e allora sì che le cose funzionavano, ci sono le mamme dei bambini che un po' li guardano e un po' ciacolano delle più amene inutilità, i bambini che fanno i bambini, qualche donna che tace, come la moglie e la figlia, e poi c'è lui, Ezechiele, che beve sempre di più e smadonna dentro di sé perché avrebbe potuto fare molto altro di meglio oggi. Ad esempio aveva visto un bellissimo spigolo sul quale pensava di passare la giornata a battere la testa.
"Cazzo però come cucina sta gente" Si gira verso Michela chiedendole con gli occhi se li avesse fatti lei. Arrossisce con dolcezza abbassando lo sguardo, si è sentita in colpa a vedere lui che apprezza così tanto e la guarda perché avrebbe voluto farle il più sincero dei complimenti ma lei non ha fatto i ravioli, non li sa fare i ravioli; però si ringalluzzisce a pensare che come fa i 4salti in padella lei, ah come li fa lei, non li fa nessuno. Ezechiele quasi sente una fitta al cuore al vedere una scena così dolce. "No era un raviolo che non scendeva. Ci butto giù questo vinellino che è proprio buono".
"Il bollito"
"Evv..."
"Alèèèè" urla sbagliando coro Ezechiele. Ci rimangono un po' tutti male, ma poi, a scoppio ritardato, tutti si producono nel proprio personalissimo "Alèè". Ezechiele si gonfia d'orgoglio ad aver cambiato l'urlo belluino che accompagna le portate "Che nerchia che c'ho, l'ho messi tutti al posto loro, so un eroe".
Quando ormai è convinto di aver dribblato tutti e sta andando avanti da un pezzo a mangiare il giusto, e bere l'ingiusto, si avvicina a brevi falcate un uomo. Deve essere una specie di cognato o nuoro, o suocero, o sa un cazzo lo Zecca come si chiamano i parenti, però sto qui c'avrà trentacinque anni. "Hai detto che lavori per una musltinazionale della musica?" "Alè, una multinazionale? Già quella stordita ne ha sparate di ogni, ora m'è arrivato bello fresco questo qui che chissà che cazzo vuole, vorrà un contratto per suonare con quell'altro scemo che mi vuol far sentire cosa suona con la chitarra. Scemo & più Scemo vs la figliola Pompinara. Il nome del gruppo ce l'ho già". "Beh io avrei un progetto da sottoporti...". "No va beh, un progetto???". Ezechiele ne trova di continuo di quelli che "hanno progetti" e generalmente suggerisce loro di presentarli all'ufficio edilizia perché a lui dei progetti non interessa poi molto, ma aveva un amico in particolare che gli sottoponeva continuamente dei progetti, Emanuele. L'Ema gli sottoponeva sempre delle mezze idee strampalate su business milionari con investimenti minimi, lavoro zero, ma tanto con quel cervello avrebbe saputo realizzare qualunque cosa senza sforzo. Lo Zecca aveva cominciato a contare tutti i progetti e s'era dato un obiettivo al ventesimo. E così al ventesimo progetto sottopostogli dall'Ema lui prese e li inviò affanculo, l'Ema e il progetto.
Adesso arrivava Sergio, il marito di Martina, broker, "Alè un altro che vai a capire che cazzo fa e la moglie ha detto al vecchio che questo qui è uno che lavora in borsa", si scalda e parte con la proposta. Sergio gli propone, con tutto l'entusiasmo posticcio di cui è riuscito a dotarsi, una sorta di business che riguarda un reality show sulla musica che vorrebbe gestire in franchising avendo lui un amico, "Amico stocazzo", con un marchio registrato che in Thailandia funziona alla grande e sarebbe il format giusto da esportare a Miami. "A Miami? Ma da quel lato del tavolo che cazzo gli hanno dato da bere? Io mi impegno da un'ora e ancora non sono sbronzo", Ezechiele conclude i suoi pensieri con un paio di bestemmie.
"Mi sembra una buona idea, appena posso ne accennerò al mio responsabile, è un tipo sveglio, gli piacciono questi progetti" Ezechiele non si trattiene del tutto e gli scappa mezza risata su quella parola delirante. Sergio gli passa tra indice e medio, da vero figo, un biglietto da visita che pare l'abbia inculato a Cetto La Qualunque, Ezechiele lo prende entusiasta. Ci vengono due filtri della madonna.
"L'arrosto"
"AAAAAHHHHH"
Ormai Ezechiele spacca di brutto, è il ras della curva, ubriaco marcio ride come un panda che ha scoperto di avere un cazzo di un metro, appena arriva l'arrosto ruggisce convinto di far ridere un casino "Di chi è questo?", e porca puttana c'aveva preso, le donne ridono tutte, già mezze ubriache anche tutte quelle mignotte, terrorizzata Michela, turbato il padre, la madre è una delle mignotte ubriache. Si viene a sapere che l'arrosto è della mamma di Michela "E viva la cuoca, che Dio la benedocaaaaa", "Alèèèè" partono i cori anche dagli altri maschietti presenti, c'è solo il padre con una scopa nel culo "Ecco da chi ha preso la tu figliola, ma spesso non è una scopa...". L'arrosto è un mezzo capolavoro e la qualità della portata ricrea un po' più di calma, nella quiete emerge una da laggiù che se la prende con lo Zecca "Sai Ezechiele, io studio giornalismo e ho già pubblicato più di venti saggi", "Mecojoni", "Ne vuoi leggere qualcuno? O che te lo legga io", "Ma vaffanculo va" "Ma certo", "Preferisci un tema in particolare?", "La qualunque". Il dubbio di averlo detto o pensato se lo fa passare alla svelta: il tavolo non pare troppo indispettito, continua a biascicare quell'arrosto in crosta che vale mezza pompa della figlia.
Quella laggiù, che dovrebbe essere la sorella di quella che l'ha portato lì sta leggendo qualcosa da ormai cinque minuti che lo Zecca c'ha un problema, un grosso problema. Ok, un vecchio a destra, un uomo a sinistra, forse se la cava avvicinandosi al vecchio, tutti danno sempre la colpa ai vecchi. Ezechiele si sistema sui gomiti alzando la chiappa destra e mostrando interesse col viso puntato sulla sorella chiacchierona, dimostra apprezzamento col culo puntato sul vecchio. "Meno male che era silenziosa, daranno tutti la colpa a sto rincoglionito".
"Il pandoro con la cremaaaa", annuncia la madre di Michela.
"Ollellè, ollallà, faccela vedèèè, faccela toccààà"
Quelli ubriachi ridono tutti, il vecchio dorme sul tavolo, la vecchia è in salotto a badare alle pesti, la Michela vorrebbe scomparire, il padre è rosso di rabbia.
Ezechiele si adopera con perizia per pucciare l'intera fetta di pandoro nel calice di spumante, il risultato non è che sia poi dei migliori, soprattutto alla luce dell'idea di bere dal bicchiere il risultato, però poi la cucchiaiata direttamente dalla ciotola della crema alla bocca piena di pandoro pasticciato è un tocco di stile coi controcoglioni.
Il brindisi porta qualche problema di logistica per lo Zecca che si impegna comunque a fare il gesto e ingurgitare qualcosa da quel casino che ha nel bicchiere e mantenere, allo stesso tempo, l'equilibrio.
Il clima ormai è quello da rompete le righe, le donne se ne sono andate ridacchiando, i maschi non si sa di che parlino, Il padre rimane con Michela ed Ezechiele; lo accompagna alla porta e gli fa presente di non aver avuto una buona impressione, Ezechiele stabilisce che il modo migliore per congedarsi sia comunque quello di non lasciare non detti importanti, che potrebbero in futuro creare degli equivoci: "Ok che non piaccio a lei, ma la su figliola me lo può ciucciare ancora o no?".
La porta sbatte ed Ezechiele se ne va con la speranza che la sbronza non lo porti a dimenticare il modo più spettacolare che abbia mai trovato per levarsi dai piedi una donna.

domenica 17 novembre 2013

Nevica (lei)

Forse non lo dovevo invitare per il caffè. Chi beve un caffè alle 23.00? Va beh, ho fatto la figura di quella che ci sta, ma mi piace, sembra che si diverta a permettermi di gestire il gioco. Gioco in casa, siamo nella mia città, e lui sta come rispettando la mia autorità; nevica, fa freddo, chi cazzo ha mai visto nevicare l’11 ottobre, è bene che cammini veloce. In effetti non ho mai camminato così veloce, e stasera non fa eccezione, ma lui sembra voler rimanere indietro, chissà che sta guardando, il maialino che ho trovato, “ti piace quello che vedi?”, dio quanto vorrei chiederglielo.
Arrivo a casa ed apro il cancello, la corte la attraverso, questa volta sì, velocemente, non mi fa piacere che qualcuno si impicci nei fatti miei. Entro rapida, non gli rivolgo la parola, chiuda lui la porta, e speriamo non la sbatta. Devo salire solo all’ammezzato, ma non voglio correre, voglio che si goda la scena, e indugio sull’ultimo scalino; proprio non resisto e devo girarmi a guardarlo, devo vedere che effetto ho fatto…l’effetto che volevo.

Apro la porta facendo un po’ di casino con le chiavi ma alla fine sto portando un uomo nel mio spazio, e la cosa mi piace il giusto, entro e non faccio neanche in tempo ad accendere la luce che il ficcanaso è già entrato e butta lo sguardo di qua e di là, è qui che decido di aggredirlo, lo bacio mentre chiudo la porta alle sue spalle e poso le chiavi nella ciotola, cazzo non deve andare in giro a ficcanasare. Succede qualcosa di strano, il mio bacio voleva essere freddo, tattico, logistico, mi serviva per bloccarlo, e invece eccomi qui, un brivido mi sale, leggero, sulla schiena e il sangue mi abbandona le gambe, ho quasi paura di accasciarmi, ma che cazzo mi sta facendo questo qui. Mi scappa un sospiro incredibilmente lungo, e sento che se ne accorge benissimo, sta gongolando il maledetto, ha capito di avermi in qualche modo stregata. Lo porto sul divano e mi inginocchio accanto a lui, è basso, e anche da seduta voglio dominarlo. Continuo a baciarlo e non riesco a trattenerlo, non so come faccia a capire come voglio essere baciata ma non mi importa, devo toccarlo, ho bisogno di accarezzargli il collo, il viso, il petto; sospira, fa un respiro incredibilmente profondo, gli piace quello che succede, o forse si sta annoiando? So di essere lenta nel fare le cose, ma se trovo chi sa riempirlo, voglio godere di tutto il mio tempo, e questo stronzo ci riesce e non capisco come, così presto. E’ qui che mi passano le paranoie sul cosa gli stia piacendo o meno, finalmente mi mette la mano sul seno e non ha alcuna fretta, ma una decisione che mi toglie il respiro, mi prende forte per le braccia e mi alza, comincia ad usare la lingua, il suo bacio diventa profondo e in qualche modo sto perdendo il controllo della situazione, e non me ne frega poi così tanto, anche perché non pare prepotente, sembra quasi che ci si stia venendo incontro. Lo voglio sentire, la giacca gliel’ho già tolta, deve sparire quella camicia, voglio essere toccata, voglio essere spogliata, perché non lo fa? Gli sbottono la camicia, un bottone alla volta, non mi inceppo mai, i polsini li aveva già aperti lui. Butto la camicia da qualche parte e finalmente ne sento il calore. Mi palpa il seno destro e con la sua mano destra mi slaccia il reggiseno, sfila il vestitino subito dopo e capisco cosa stesse aspettando: le sue mani sono ancora un po’ fredde, peccato si sia posto questi problemi, dio quanto voglio le mani fredde di un uomo su di me.  Sembra decisamente contento di quello che ha trovato, e si premura subito di mostrarlo, mi bacia il seno, mi lecca il capezzolo sinistro e lo mordicchia leggermente, le sue mani scendono sul mio culo e finalmente lo stringono come volevo “la senti la palestra?”, ma perché oggi vorrei essere porca in questo modo così arrogante? Riesco a mordermi la lingua anche questa volta. Torna a baciarmi ed appoggiarsi a me, sento che è già bello duro e ho voglia di vederlo, ho voglia di averlo, mi sta lentamente abbassando i leggins e le coulotte che ho scelto oggi, muoviti dai, voglio spogliarti! Me li abbassa completamente, devo riuscire a togliermi gli stivali senza interrompere il flusso di ormoni…mai riuscito un capolavoro del genere: c’avrò messo 3 secondi, e so di essermi mossa alla grande. Gli slaccio quella maledetta cintura e sbottono i jeans. L’avevo già sentito da fuori, non voglio ancora scartare il mio regalo e gli lascio i boxer, ma adoro sentire quanto gli stia piacendo quello che sta succedendo. Basta, mi spoglio, speriamo faccia lo stesso, lo voglio dentro di me!Sono piuttosto brava a fare queste cose e anche lui si spoglia con un movimento solo, non si blocca, non si inceppa, massimo 3 secondi e sono completamente nuda davanti a lui, si è tenuto i boxer. Sei uno di quelli che vuole essere spogliato eh?! Benissimo, mi piace scartare i miei regali, gli abbasso i boxer e glielo prendo subito in mano, pulsa, è caldo, è duro, non ho alcun bisogno di riscaldarlo, ma un po’ ci voglio giocare lo stesso…Lascia scivolare i boxer e finalmente è nudo, mi diverto a torturarlo ma sto torturando me stessa, lo voglio dentro di me, mi sposto verso il divano ma mi prende di forza e si siede lui, vuole essere cavalcato eh!? Bene, mi piace il comando, mi è sempre piaciuto, mi siedo su di lui e vedo che non fa niente per trovare la strada giusta, vuole che lo faccia io; molto bene, lo prendo in mano e lo conduco dove voglio, sono già eccitata, so benissimo che il corpo non opporrà nessuna resistenza all’ospite, lo sento scivolare dentro di me, una sensazione di calore mi avvolge, non aspetto, non assaporo il momento, comincio subito a muovermi, lo voglio sentire più dentro, voglio sentire dove arriva, voglio guardarlo godere. Scelgo il mio ritmo, vado avanti e indietro col bacino, mi cinge i glutei con le mani, corregge alcuni movimenti, ok, non così indietro, ok, più su, come cazzo è possibile che io goda di più come mi ha spostato lui? Perché non riesco a sentirmi dominatrice ma solo una maledetta metà di un intero che sta funzionando come un meccanismo perfetto? Amo le mie tette, so quanto siano belle, gliele muovo a un centimetro dalla faccia, le deve cercare lui; non se lo fa neanche chiedere, prende subito il mio seno destro con la bocca, succhia il capezzolo, lo cinge con la bocca e gioca con la lingua, mi sta facendo impazzire; accelero il ritmo, voglio godere, voglio godere subito, devo venire, volevo torturare lui e sto torturando me stessa, mi aiuta con le mani sui glutei, mi sposta su e giù come vuole lui e continuo a non capire come cazzo faccia a farmi arrivare a questo orgasmo lui, scegliendo il ritmo per me, piuttosto che io scegliendolo da sola, eccolo, arriva, mi sento bruciare e poi ghiacciare, con un brivido mi accascio sulla sua spalla non sapendo neanche quanti santi ho invocato. Oddio questa cosa non può finire, non mi voglio neanche riposare, mi alzo e lo lascio sfilare fuori di me, lo voglio in camera, mi alzo, gli prendo la mano e lo porto dietro di me fino in camera. Mi sdraio sul retto, mi sto per rialzare, vorrei sentirlo in bocca ma mi sovrasta e mi bacia, scende subito a baciarmi sui seni, sulla pancia, e arriva dove speravo arrivasse, comincia a leccarmi con il piglio di chi ha deciso di farmi impazzire, eppure pare che faccia l’unica cosa che sembra essere giusta al momento, sembra come se non potesse non essere così, non ha cominciato neanche da 10 secondi e io già sto impazzendo. Perché questo maledetto mi capisce così, mi inarco leggermente e capisce di andare più profondo, lo cingo con le gambe e mette più vigore nella spinta di lingua, mi sento morire, questo qui mi farà impazzire tutta la sera, già mi arrivano i primi brividi, i primi scarti, continua costante nella sua tortura e io mi vergogno come una ladra a lasciarmi andare così, starò facendo una figuraccia ma mi viene spontaneo, lo prendo per i capelli, gli cingo la testa con le gambe, che non si sogni neanche di spostarsi da dove si trova, che non pensi di cambiare qualcosa, sto impazzendo, non riesco più a controllare gli spasmi del mio corpo, né quelli della mia lingua, non so neanche che cosa sto dicendo ma non è importante, non sono io che me ne fotto, è che non importa, sento questo momento come il perfetto funzionamento di una cosa sola; i miei spasmi sono diventati incontrollabili, sento quel calore spaventoso e quel brivido fortissimo sulla schiena, l’orgasmo arriva, tremo, mi alzo, non riesco neanche a stare sdraiata, mi aggrappo alla sua schiena per non cadere. La deve smettere e la smette, non lo reggerei ancora, ma lui è ancora lì, teso, duro e con chissà quali progetti in testa, ma sembrano gli stessi miei: lo voglio ancora dentro di me, non glielo chiedo, non glielo dico, non glielo faccio capire, mi spinge sul letto e subito mi penetra, fa un po’ di resistenza ora ma entra e scivola dentro quasi senza difficoltà, tutto sembra diventato un po’ più frenetico ora, i miei tempi flemmatici non so neanche dove siano finiti, sta facendo dentro e fuori facendomi impazzire, oddio che serata, chi se lo sarebbe aspettato, lo prendo per i glutei e lo tiro dentro di me, quando affonda voglio che arrivi fino in fondo, con le gambe gli cingo le sue, cazzo lo voglio sentire attaccato a me con ogni parte del mio corpo, ormai penso di avere la febbre a 45 gradi, non capisco più niente e non mi sento parte di questo mondo ma solo di qualcosa di perfettamente sincronico, di un unico grande orgasmo che ci unisce, comincia ad ansimare e lo sento sempre più rapido, io ormai non riesco neanche più a capire quanti e quali siano i miei orgasmi, so solo quanto sto godendo in questo momento ed è allora che esce da me e comincia a masturbarsi, in ginocchio sul letto, sta venendo, ma voglio essere io a farlo, lo prendo subito e lo masturbo, non ci metterò la bocca, ma lo voglio sentire addosso, voglio sentire quel caldo su di me, bastano pochi secondi per farlo venire, me lo stringo al seno e sento quella meravigliosa sensazione di calore che mi pervade, trema, si inarca, e alla fine mi crolla addosso. Dopo qualche secondo abbracciati mi bacia dolcemente e mi guarda, incrociamo lo sguardo, non diciamo niente, sappiamo già tutto; rimette la testa sulla mia spalla, cominciamo a giocare con le mani l’uno dell’altra, non ho idea di quanto tempo sia passato da quando l’ho conosciuto, da quando gli ho offerto il caffè, da quando ho chiuso la porta di casa, né quanto ne passerò così, abbracciato a lui, so per certo che la serata non è finita e che un’intesa del genere non si spegnerà con uno “ciao”. Ricominceremo tra un po’, quando non sarà il momento mio, o suo, quando sarà il nostro.

Nevica (lui)

Quando cazzo mai ha nevicato l'11 Ottobre in questo posto? Mi ha parlato di un condominio, di solito i condomini sono pieni di vecchi che tengono i riscaldamenti a palla, speriamo, sto congelando. Cammina decisa ma non veloce, ha un passo che ha quel quid della leonessa che percorra la savana sapendo di poter scegliere la preda che vuole, detta il passo, forse ostenta sicurezza, forse ci tiene a far notare come ancheggi con la sua falcata lunga, sicura e lenta, di quella lentezza che è pura sensualità. Toglie la mano dal guanto stringendo il medio tra i denti, non ti togli un guanto così quando hai l’altra mano libera, il suo gioco è già cominciato. Prende le chiavi, apre il cancello, nel cortile accelera il passo, apre la porta del condominio e se la lascia dietro senza voltarsi, mi occupo io di chiudere, vuole essere vista salire le scale? Solo l’ammezzato. È quando sul pianerottolo svolta a sinistra che getta la prima occhiata rivelatrice della sua piena consapevolezza del fatto che il “caffè da me” sia solo un modo di dire. Gira la chiave nella porta ed apre, non mi fa entrare, vuole subito chiudere la porta senza che io mi avventuri chissà dove. Ha chiuso, appoggia le chiavi, tutto sembra durare un’eternità con la sensualità che mette nel fare qualunque cosa; a chi non ne conoscesse la malizia potrebbe sembrare solo tremendamente pigra o tremendamente stanca, si è tradita solo in pochi dettagli, ma l’ha fatto, per tutta la sera, esattamente quando voleva che si notasse.
Mi bacia lei, il caldo dell’appartamento non arriva tanto velocemente quanto quello del suo corpo abbracciato al mio. Bacia lentamente, si abbandona, sento quasi di doverla sostenere da quanto trasporto mi trasmette; cazzo sempre stato io tipo da “vieni qui che spacco tutto” e ora arriva questa a farmi sentire ogni singolo momento dell’essere noi. Si sposta lentamente ma non mi molla, non ha ancora aperto la bocca, mi porta sul divano, si accovaccia accanto a me, comincia a stuzzicarmi con la lingua, la usa come chi pare aver trascorso una vita a torturare i propri amanti, si fa avanti e si ritrae, gestisce ogni ritmo come vuole, ed è un ritmo lentissimo, una tortura fino a quando non riesco io, a mia volta, ad abbandonarmi a lei, il tempo si ferma, mi sembra di vedere la scena da fuori in bullet time, mi richiama al momento la sua mano, mi sbottona la giacca, sposto la schiena per toglierla, faccio lo stesso con lei, è in ginocchio sul divano, accanto a me. Decido io di alzarmi, il caldo ormai ha riportato in vita le mie mani, posso toccarla senza farle prendere un colpo. Le alzo il vestito, le slaccio da sotto il reggiseno, geme a sentire le mie mani sulla schiena e il suo gioco con la lingua sembra perdere quella sicurezza sadica iniziale e cominciare ad essere più spontaneo ed inibito, forse avviene qualcosa in questo momento, lei sembra superare il suo personaggio ed abbandonarsi completamente a se stessa, ed a me, io lascio da parte ogni pensiero sul come andrà, come sarò, cosa farò, per un istante sembra di trovarsi in un’altra dimensione, si eccita, mi sbottona la camicia con la solita grazia felina ma una fretta ben diversa, la toglie, la butta da qualche parte, le sfilo il vestito, nuda è meravigliosa come avrei pensato fosse quando l’ho vista; sento le sue mani su di me, mi stringe a sé, nel baciare piega la testa quel tanto che mi fa decidere di girarla di schiena, mi appoggio a lei mentre posso con le mani esplorarne i seni e sprofondare nel suo profumo, si inarca quando le bacio il collo, accompagna la mia mano via dal seno per portarla più giù, non fa tutto il tragitto da sola, o è un po’ di pudore o vuole che sia io a farmi strada tra i leggins; il suo lentissimo ritmo travolgente mi ha ormai completamente catturato e non glieli strappo via come un orso, la accarezzo, da fuori, poi lentamente le abbasso i leggins e le coulotte che ci nasconde sotto; sposta la sua mano sinistra a sentire la mia eccitazione; la rigiro, la bacio, lei comincia a slacciarmi la cintura; ormai le ho abbassato sia i leggins che le coulotte, decide di spogliarsi, non so come cazzo faccia, ma toglie gli stivali riuscendo a non interrompere niente di quello che stava facendo, mentre si piega perdo le mie mani tra i suoi seni, vorrei spogliarmi, ma voglio che sia lei a farlo. Torna su a baciarmi, non so come ma mi capisce, mi sbottona i jeans, si piega per spogliarsi completamente, faccio lo stesso, resto coi boxer. Quando torna da me sembra quasi delusa e risolve la situazione da sola, l’intera scena vista da fuori mi avrebbe già mandato al manicomio ma nella specie di trance in cui mi ha portato vivo il tutto come fosse tutto un puzzle che pian piano si completa. Si avvicina al divano, decido di sedermi io, mi si siede sopra, non ho idea di quanto tempo sia passato dal momento in cui mi ha offerto il caffè o da quando abbia chiuso la porta di casa, mi sembra l’eternità più eccitante possibile, adesso prende il comando, non fugge dagli oneri della posizione che ho scelto per lei; lo prende in mano, quasi a controllarlo, e fa in modo che io sia dentro di lei, sento quanto avesse lavorato di immaginazione e di contatto e le scivolo dentro trovando meno resistenza di quanta avrei pensato, sembra subito impazzire; la mia pantera cambia adesso, il ritmo flemmatico e conturbante di tutta la serata lascia spazio alla versione hard della stessa donna, mantiene una fluidità, una sensualità senza precedente, scandisce un ritmo più veloce di quello che mi sarei aspettato ma la tortura è la stessa, ed è sempre più eccitante, le scivolo dentro e fuori sentendola gemere e trovandola muoversi di una spontaneità travolgente. Avvicina i seni alla mia testa, lo fa apposta, vuole che ci giochi con la bocca, non avevo scelto la posizione a caso. Al tatto è calda, a sentirla con la lingua è bollente, le mie mani la accompagnano, posate su un culo che fa pensare alla palestra solo ad avvicinarvisi, ma il ritmo è il suo, la sento accelerare, la sento sospirare, invocare divinità, perde ogni tipo di flemma e si scatena, non riuscirei a starle dietro senza accompagnarne i movimenti con le mani, entro dentro di lei sempre più facilmente, sento che sta per venire e da una parte vorrei farlo in contemporanea, dall’altra vorrei che tutto questo non finisse mai…Si appoggia sulla mia spalla tremando, si sfila, mi bacia, mi alza, mi invita ad andare in camera.

Mi guida tirandomi per la mano, si appoggia sul letto, non so quali siano le sue idee ma sono troppo perso in lei per preoccuparmene, mi appoggio su di lei, la bacio, scendo sul collo, le mordicchio un seno, scendo a baciarle la pancia, ha una pelle incredibilmente liscia, il suo profumo mi inebria, scivolo dove volevo arrivare ed inizio a leccare, la sento completamente trasportata mentre continuo il mio lavoro, ha un qualcosa di magico nel muoversi, è come se mi avesse spiegato per anni cosa fare, fa sembrare tutto perfettamente immediato, mai provata una complicità del genere, si inarca, perde il controllo delle gambe, mi prende per i capelli per accompagnarmi, sembra che mi stringa tra le cosce per non farmi allontanare mai, geme, trema, alza il torso in preda agli spasmi, la posizione non è più il massimo per me ma lei è già venuta, seduta sul letto mi bacia, mi abbraccia, allunga la mano a trovare ciò che desidera ancora dentro di sé, mi massaggia i testicoli, trova il pene già duro, ho capito che lo vuole, non aspettavo altro, la stendo sul letto e mi faccio spazio, la penetro con poca difficoltà e penso di decidere io i nuovi ritmi, le do il tempo per adattarsi poi comincio a spingere la sento già cingermi con le gambe, ma non mi sta chiedendo il suo ritmo, sta accompagnando il mio, è qui che capisco che ci stiamo muovendo non l’uno per l’altra, ma come una cosa sola, non c’è un ritmo suo o mio, c’è un’unica entità che sta raccontando il miglior sesso che si possa sperare, entro ed esco da lei ormai facilmente, decidiamo che il nostro ritmo è più alto, mi appoggio su di lei, la sento gemere di nuovo, credo di aver capito a che punto siamo e qualcosa mi sembra incredibile: credo di essere allo stesso. Proseguo sul mio ritmo fino a quando mi si aggrappa con le mani ai glutei e mi chiama più dentro, più forte, più veloce, sono pochi secondi e la vedo inarcarsi di nuovo, sto venendo anche io, esco e mentre provo a masturbarmi per venirle addosso mi sposta la mano, vuole essere lei su di me quando esploderò, mi masturba, non so come, al ritmo esatto a cui l’avrei fatto io, vuole che venga su di lei, ottiene quello che vuole, il tempo di riprendermi dai tremori e mi accorgo che la magia non è finita, si sdraia attirandomi a se, chiude gli occhi, mi bacia delicatamente sulle labbra, mi abbraccia, rimaniamo abbracciati in silenzio a tornare al ritmo lento, rilassante e sensuale che ci ha accompagnati fino a poco fa. Non so quanto tempo sia passato dall’ingresso in quell’appartamento, né quanto ne passerò così, abbracciato a lei, so per certo che la serata non è finita e che un’intesa del genere non si spegnerà con uno “ciao”. Ricominceremo tra un po’, quando non sarà il momento mio, o suo, quando sarà il nostro.

La breve storia di Rocco la tartaruga

Rocco faceva la tartaruga. Cazzo di senso abbia questa frase lo si può capire conoscendolo: Rocco voleva volare, non si sentiva tartaruga, faceva la tartaruga perchè tutti semplicemente se lo aspettavano da lui. Non gli piaceva essere una tartaruga ma si sentiva scemo a dire di essere un falco, e alla fine il suo guscio gli piaceva anche. Era convinto che nessuno potesse sospettare che lui fosse, segretamente, un falco, si era arredato il suo guscio con tutte le sue cose, qualcuna da falco e qualcuna da tartaruga, percepiva le seconde come un intralcio, ma continuava a tenerle, senza neanche capire bene il perchè o il percome. Rocco tutte le sere tornava sotto la sua pianta, rientrava nella sua casetta, guardava le sue cose da tartaruga, e piangeva; si sfogava, andava al ruscello a sciacquarsi, tornava sotto la sua pianta, rientrava nella sua casetta, guardava le sue cose da falco, e riusciva a prendere sonno. Nei suoi pianti Rocco aveva pianificato tutto, solitario, sapeva come fare; cominciavano dal suo guscio a formarsi delle maestose ali, o almeno così le vedeva lui, in realtà era difficile accorgersi delle piccole escrescenze ossee ai lati del carapace. Rocco quella sera tornò sotto la sua pianta, rientrò nella sua casetta, guardò tutte le sue cose da tartaruga e, scoprendosi a sorridere, capì di essere uno di quelli che rivolge un sorriso al proprio passato; Rocco accomodò tutte le sue cose da tartaruga al suo posto, fuori di casa, sotto la pianta, indossò i suoi occhialoni da falco e si diresse al ruscello, ma non dove si sciacquava di solito, no, sul ponte 30 metri più in alto. Rocco guardò in basso e sentì che non c'era paura di cadere in lui, ma emozione sapendo che avrebbe volato; calzò bene il casco di pelle e gli occhiali, spiegò le sue nuove maestose ali e non saltò, Rocco volò, giù dal suo ponte. E mai vi racconterò come è finita la storia di Rocco la tartaruga, perchè da quel momento il cuore di rocco si riempì di se stesso, falco, e cosa successe dopo, non è importante.

Tre mandate

Clanc, clanc, clanc. Tre mandate. Elisa chiude a tre mandate e lascia fuori della porta l'ultimo ospite, si sdraia sul letto e dorme. Elisa non sogna, sa che non è vero, ma si è voluta convincere di questa cosa, ne ha avuto bisogno dopo mesi e mesi in cui sognava se stessa in pace, felice, sdraiata su di un prato alpino, dove amava camminare, sola. Sola e felice.
Sono ormai anni che ha raggiunto sé stessa, Elisa è una donna felice, è serena, vive una vita che tante altre donne avrebbero sognato. Redattore capo in una delle 5 riviste di moda più importanti del mondo, lavora di ciò che ama, viaggia, conosce posti sempre nuovi, entra ed esce dai migliori Hotel del pianeta, conosce uomini di ogni tipo e li chiude fuori a tre mandate.

Fa freddo fuori, e anche questa volta ha sorriso a se stessa quando ha visto la curiosità negli occhi dell'ultimo uomo che ha visto il suo letto: un solo cuscino; non ci pensi fino a che non lo vedi a quanto sia forte il simbolismo di questo gesto. Sono le due, un saluto più lungo di quanto lei stessa si immaginasse e poi le tre mandate. Elisa si sdraia sul letto e dorme. Domattina farà più fatica del solito a cancellare quel fottuto sogno che la disegna sola e felice, perché Elisa, sola, non è felice per un cazzo. Piangerà per la prima volta nella sua vita, farà una doccia, uscirà di casa, chiuderà, questa volta da fuori, a tre mandate, e non tornerà mai più in quella casa. Oggi Elisa ha paura ed è sola, e forse smetterà di fare quel sogno tanto odiato.

Godfrey

Godfrey Jhones è nato a Pasadena, California, come Missy Franklin, quella bella come i debiti ma che ha vinto 5 medaglie a Londra 2012.
Fin da quando è piccino l'hanno sempre chiamato God, e come cazzo lo volevi chiamare uno che si chiama Godfrey? Il problema è che God si è rotto i coglioni di essere ateo ed essere chiamato God. Allora al grido di "Mi sono sempre chiesto se c'è un dio, adesso lo so: c'è, e sono io..." all'età di 40 anni precisi si reca all'ufficio dell'anagrafe di Pasadena, California a chiedere di cambiare nome. God chiede di chiamarsi Giampiero Galeazzi grazie al vecchio amore per Domenica In che si porta dietro fin da quando aveva 50 anni. Per uno strano caso del destino il funzionario dell'anagrafe, forse confuso dalla pronuncia italiana, lo iscrive come Gigetto Er Caciottaro. Gigetto torna a casa, guarda la nuova ID Card e decide di ascoltare una canzone pallosa e di andarsene affanculo.


Bene, adesso se pensate che tutto questo sia un confuso casino pieno di scopiazzature e senza alcun senso, guardatevi 007 Skyfall e poi venitemi a chiedere scusa, che io come un cretino me lo sono guardato due volte quasi per intero, e ho bisogno di ricevere delle scuse da qualcuno.

Al Tre

-Non me ne frega niente di quello che dice il dermatologo.
-Ah beh, allora sai tutto te...
-Certo che so tutto io, la saponetta al sandalo mi fa schifo, la fanno con gli ebrei.
-Ma come fai a dire 'ste cazzate?
-Lo so io, l'ho sentito in TV: i nazisti ci facevano le saponette!
-Ma che c'entra il sandalo? Ha un buon profumo e purifica la pelle.
-Ma che cazzo dici? Gli ebrei puzzano e non me li strofino certo addosso, le saponette le uso solo al miele e quel dermatologo sarà un coglionazzo finocchio ebreo anche lui. Dov'è che l'hai visto?
-Da Barbara D'Urso!
-Ma vaffanculo, quella fammela vedere solo quando fa un porno, ma solo se sta zitta, non come la Tommasi. E sa una sega lei delle saponette ebree.
-Si va beh, continua a lavarti con il miele da Cacia. Che poi dove cazzo è Cacia? Almeno è in Italia?
-Acacia imbecille!
-E dov'è?
-E' la razza della vespa che fa il miele, c'è quella Eucalipta, quella Erika e quella Acacia.
-Che animali del cazzo le vespe.
-Non sono animali, sono insetti.
-Come i ragni?
-Eh.
-Ma falla finita, ora una vespa che fa il miele è uguale a un ragno o a uno scarafaggio?
-Ma che ne so, sarà la biomeccanica lì, quella roba di quella fica di legno che fa la geografia sul Tre. Forse sono insetti quelli che producono qualcosa.
-Eh, la vespa fa il miele, il ragno la ragnatela, ma lo scarafaggio che fa?
-Lo scarafaggio produce merda, non la guardi mai la TV? Fa queste palle di merda e le fa rotolare.
-Che animale del cazzo.
-E' un insetto testa di cazzo! Te l'ho appena detto!
-Sì va beh, a me un animale che mi piace è il coccodrillo.
-Cazzuto il coccodrillo, ma quello americano, che è più grosso, no quello italiano che c'ha le zampe fini e lunghe e sembra una specie di coccodrillo finocchio.
-Eh sì, lui sta zitto e poi attacca e ammazza la gente. Poi è intelligente.
-Cioè?
-E' tipo capisce le bestie che uccide mi sa, che dopo che le uccide e le mangia, piange, vuol dire che sa ragionare.
-Piange? Sì, e chiama la mamma?
-Ma vaffanculo, pensa al tuo sapone di merda di vespa.
-Quando cazzo arriva il lambretta?
-Ma che ne so, te premi questa ferita che se non arriva alla svelta questo stronzo ci rimane secco. E la colpa è la tua, ma ci beccano tutti.
-Oh vaffanculo, lo potevi vedere anche te!
-Anche io un cazzo, era chiaro: io facevo le casse, il Torba il direttore e te tenevi sotto le guardie.
-Sapevo una sega io che c'era quello di la.

-Dai zitto, quello è il furgone del lambretta, aiutami qui. Alzalo al tre.

33-0

Franco è un Clown. Franco ha sempre fatto il Clown nella vita, non ha mai trovato niente di meglio da fare che strappare sorrisi, non ha mai pensato che esistesse qualcosa di meglio che riscaldarsi il cuore con i sorrisi che riusciva a strappare. Il cerone bianco steso sempre con la stessa passione, la pompetta del fiore sempre perfetta, l'elastico delle bretelle sempre tirato, ogni singolo giorno di una vita che non riesce neanche a definire troppo breve. In tanti a trentatre anni penserebbero che sia troppo presto, Franco pensa che non saprebbe resistere pensando di vivere un giorno senza strappare un sorriso, o almeno senza averci provato. Franco a trentatre anni fissa i travetti affiancati al muro e si chiede per la milionesima volta se non sarebbero stati più belli verniciati di bianco anche quelli, come le pianelle che ci riposano sopra. Quelli come lui lo sanno quando il gioco finisce, oggi Franco cede alla malattia di cui non ha voluto parlare a nessuno, e cede con lo spirito del vincitore che è riuscito a far sorridere fino all'ultimo giorno, del vincitore che ha saputo nascondersi per non strappare mai una smorfia o una lacrima, ma solo sorrisi. Oggi Franco vince trentatre a zero, e muore sapendo di essere riuscito a strappare un sorriso al giorno senza mai vedere qualcuno triste per lui. Tra qualche giorno qualcuno lo cercherà, tra qualche settimana qualcuno penserà che forse Franco non era forte quanto credeva di essere e aveva chiesto aiuto tante volte, quel qualcuno verserà una lacrima per lui, ma Franco se ne sarà già andato e non sarà mai trentatre a uno, la rete l'ha mantenuta inviolata fino al novantesimo, della moviola post-partita non gliene è mai fregato niente.

1631984

Sta seduta allo Starbucks dell'aeroporto di Amsterdam, posa sul tavolo un peluche portachiavi, cinquantun'anni e una tazza di caffè. Fissa la sua tazza di caffè e ci infila lo sguardo talmente dentro da far pensare che non lo tirerà mai più fuori. La Patrizia la chiamano tutti Patty, praticamente da sempre, fin da quando era una bambina bionda che andava sempre in giro con una gallina di peluche che chiamava Gallina (beh oddio, all'inizio si chiamava Gaiina). Ormai è passato qualche anno da quando ha cominciato ad odiare il suo principe ed ha cominciato solo a piangere, odiare, ed odiarsi. Lei si era sempre sentita la sua principessa, era sempre stata al centro dei suoi pensieri, sapeva di avere sempre il suo principe pronto a correre a salvarla sul bianco Pony, già, un Pony, perché alla Patty da piccola piacevano i Pony, i cavalli seri le erano sempre sembrati troppo grandi e non aveva mai avuto un peluche di un cavallo vero, quindi il suo principe arrivava sul bianco Pony. Poi arrivò il 16 marzo 1984. Da qualche tempo la Patty aveva trovato un altro principe, e tenuto sempre più lontano il primo, che non riusciva ad accettare di perdere la sua principessa. La Patty ormai non voleva più suo padre come principe sul Pony, si era trovata il suo Principe Azzurro sul bianco destriero e si sentiva di volare. Fu quel 16 marzo che il Principe Azzurro sparì, una lettera, roba da non crederci oggi... "Credo che abbia ragione tuo padre, addio, ti amerò per sempre". Cazzo, conciso il ragazzo, con quello che costavano i francobolli poteva sforzarsi di più. E' da allora che la Patty ha bisogno di un principe, non le interessa più il colore, o il cavallo, chiama principe chi le sorrida tre volte di fila e le parli di peluches; ne ha conosciuti tanti, ed è stata la principessa di tutti, o meglio ha detto, prima di tutto a se stessa, di esserlo stata. La principessa di tutti, o la principessa di nessuno, il confine lo sente più labile che mai. E' oggi, in quel caffè, che rivede se stessa e realizza di non averlo mai cercato, dopo quel 16 Marzo 1984, ma di aver solo chiamato "principe" un passante dietro l'altro, e di non aver mai voluto essere una principessa, ma solo di averlo detto, di esserselo detto, solo di aver cercato di farla pagare ai suoi due principi, quelli che le hanno creato quel grande vuoto: quello che ha cacciato il Principe Azzuro, e il Principe Azzurro che non ha lottato per lei. Si sentiva rasserenata nella vendetta, a chiamare principe chiunque incontrasse, a sbatterlo in faccia a quelli che sapeva essere gli unici due a poterla far essere una principessa ma che non l'avevano voluto fare. Posa il cucchiaino e si chiede se invece non avessero potuto. Beve un altro sorso di caffè e pensa che forse non erano riusciti. Alza lo sguardo verso il tramonto e, a cinquantun'anni, si rassegna all'idea di essere stata lei ad averglielo impedito.

Quarant'anni

Il Terza si chiama così dall'anno in cui s'è diplomato: era la terza volta che ci provava. Ha sempre fatto casino e studiato poco, ma il problema di fondo è che il Terza, senza girarci tanto intorno, è stupido. Il Terza è stupido ma oggi che abbiamo tutti quarant'anni, vaffanculo, è l'unico che sorride davvero.